Fucile mod. 91

09.01.2013 16:53

Fucile mod. 91

Di Bruno Fanton

La nascita del fucile modello 91 si potrebbe far risalire al 5 marzo 1892: in quel lontano dì, ne venne approvata l' adozione da parte dell' apposita commissione militare alla quale nel 1891 il Ministero della Guerra aveva affidato l'onere di studiare una moderna arma lunga individuale, a caricamento successivo di più colpi, per il nostro esercito. Il modello 91 era noto anche, fuori dei nostri confini, quale "Parravicino-Mauser" o anche "Carcano-Mannlicher", e sarebbe andato ad affiancare e quindi a sostituire il "Vetterli-Vitali" a 4 colpi, a sua volta modifica del Vetterli a colpo singolo del 1870. Queste denominazioni riflettono le molte paternità dell' arma: Salvatore Carcano, capo tecnico di prima classe dell' arsenale di Torino, ne disegnò l'otturatore girevole scorrevole, non dissimile peraltro da quello già adottato dal primo fucile italiano a retrocarica, il Carcano modello 1868. L' ingegnere Ferdinand von Mannlicher, austriaco, era l' ideatore del caricatore e del serbatoio; il generale Gustavo Parravicino era il capo della commissione incaricata dei lavori di studio dell' arma. La corsa al rinnovamento dell' armamento della fanteria caratteristica degli ultimi decenni del XIX secolo, aveva visto con il modello 91 una delle poche armi lunghe individuali militari occidentali ad avere il calibro "mignon" di soli mm 6,5, (se si esclude quindi l' "Arisaka" giapponese). Si vedrà poi come, ai tempi di Kennedy, il commercio interno di armi lunghe negli USA vedrà proprio il '91 al penultimo posto come quotazioni dell' usato seguito solo dal pari classe del Sol Levante. I grattacapi inerenti l' utilizzo di una pallottola di così modesto diametro, che presentava più svantaggi che pregi, assorbirono gran parte delle fatiche del team, quando le altre potenze erano più propense all' 8 mm. (vedasi impero austroungarico) o altri calibri che da esso si scostavano ben poco (7,92 mm in Germania, 7,5 mm. in Francia, 0.303" pari a 7,7 mm. in Gran Bretagna, 0.30 pollici pari a 7,62 mm. negli USA e così via). La ragione per cui si era orientati verso al 6,5 mm si poteva ricercare nel fatto che ciò avrebbe permesso l' adozione di cartucce meno pesanti e ingombranti che avrebbero consentito al soldato di portare con sè un maggior numero di colpi, ma non si sa sino a che punto questa logica controbilanciasse la consapevolezza da parte del fante di imbracciare un fucile dalle caratteristiche balistiche inferiori a quelle del fucile in mano al nemico, qual che fosse. Attorno a questo proiettile e cartuccia verranno poi costruite anche altre armi non necessariamente individuali, come per esempio la mitragliatrice raffreddata ad acqua Fiat-Revelli, dal complicato sistema di caricamento e, nel dopoguerra, armi tecnicamente interessanti ma delicate come il fucile mitragliatore Breda 30, che, tanto per dirne una, sparava solo se lubrificato con il proprio olio specifico (la coeva Breda 37 poteva funzionare anche a olio vegetale). Agli inconvenienti dell'uso di un proiettile così piccolo (logoramento della canna presso la camera di scoppio, all' incirca al vivo di culatta, e sfaldamento della palla) si tentò di rimediare con una rigatura quadruplice destrorsa ad incidenza progressiva verso la bocca e rivestendo il nucleo di piombo con la lega speciale nichel rame 20/80 denominata "maillechort". Non si sa a cosa si debba l' appellativo di "pallottola umanitaria" riferita a detto proiettile, dato che trattandosi di un' arma militare da guerra di umanitarietà non era, e non è, il caso di parlare, a mio avviso. Ma una cosa era certa: il potere di perforazione nei confronti di bersagli protetti era carente. Non per niente, ad esempio, durante la repentina avanzata britannica in Africa Settentrionale, di ben mezzo secolo dopo, fra le varie armi catturate agli italiani i fucili mod. 91 rientravano nel ristretto novero di quelle che venivano accatastate e date alle fiamme. Vale la pena forse di ricordare che chi aveva fatto dei nostri vecchi fucili un falò imbracciava ancora i Lee-Enfield della Grande Guerra, che evidentemente erano tutt' altra arma... peraltro esaminata e rifiutata a suo tempo dall' apposita commissione militare italiana... che rifiutò anche, tra gli altri, il Mauser e il Mannlicher. Misteri dei Ministeri?

Indicendo svariati concorsi, la commissione esaminò all' incirca una settantina di modelli proposti da inventori anche stranieri; l'ultimo di questi, che aveva come termine tassativo di presentazione il 31 dicembre 1891, portò infine alla scelta del sistema di otturazione tipo Mauser di Carcano e del fucile Mannlicher. In seguito, adottando l'otturatore Carcano e il serbatoio del caricatore Mannlicher, si creò il fucile a ripetizione ordinaria, a sei colpi, denominato per l' appunto "modello 91", dall'anno cui si riferiva il concorso. Si derivarono poi dal modello 91 il moschetto da cavalleria del 1893 e il moschetto per truppe speciali TS del 1897. Il primo aveva la baionetta triangolare pieghevole ma non staccabile; l' altro la baionetta staccabile. Altre modifiche, riguardanti l' estrattore e la cartuccia furono apportate dopo, perfezionando e rendendo più adeguata l' arma, che ebbe il battesimo del fuoco nel 1911 durante la guerra libica, alle esigenze di un esercito moderno. In realtà il sistema di estrazione venne ritoccato più volte, nel 1897, nel 1907 e nel 1912, il che significa che era nato con difetti e vizi occulti. Il modello 91 e i suoi derivati furono soggetti a correzioni di modesta portata per quanto riguardava il peso, la lunghezza e le cinghie, fibbie e borchie. Secondo le note tecniche del manuale della scuola militare del 1908, e cioè a sedici anni dall' adozione ufficiale, le caratteristiche erano le seguenti: lunghezza senza baionetta: m.1,28; con baionetta: m 1,58; vale a dire più "alto" della statura minima prevista per l' arruolamento; peso senza baionetta: kg 3,800, con baionetta innestata: kg 4,280; calibro mm 6,5; metodo di alimentazione con serbatoio centrale fisso capace di contenere un caricatore a pacchetto di sei cartucce introdotte dall' alto; alzo a quadrante con graduazione massima a m 2000, una vera esagerazione se si pensa che il bersaglio umano a quella distanza non è nemmeno percepibile, nè mi risulta che ne esistessero versioni da franchi tiratori munite di cannocchiale di precisione; moschetto da cavalleria 1893 e per truppe scelte 1897, più suscettibili di combattimento a distanze ravvicinate, pesavano un chilo di meno ed erano più corti di una quarantina di centimetri, diventando così pressocchè delle carabine, e il loro alzo a quadrante aveva una graduazione sino a m. 1500.Va anche detto che entro certi limiti il peso dell' arma variava a seconda del tipo di legname con cui era costruita la cassa e del tipo di cuoio con cui erano realizzati i finimenti. Tornando ai "moschetti", li vedremo impiegati, anche se con qualche modifica, sino agli Anni Settanta da parte dell' Esercito Italiano e altre forze armate nazionali, anche se in mano a truppe non proprio di prima linea, e alle forze dell' ordine. Negli Anni Trenta, fra le altre cose, si sarebbe tentata una ricalibrazione del moschetto in 7,35 mm. (con necessità di produrre cartucce apposite) nella speranza di dare all' arma un calibro adeguato o quantomeno "sopportabile", ma all' atto della dichiarazione delle ostilità solo una minima parte dei moschetti originali cal. 6,5 era stata sostituita dalla versione "riveduta e corretta". Sarebbe nato così il 91/38, reso peraltro celebre da una canzone di protesta del team di Dario Fo durante gli Anni Settanta. Perchè "moschetto" poi non si capisce, dato che con detto termine si identificavano armi lunghe (anche se non proprio quanto i "focili" tipici delle fanteria di allora) portatili ad avancarica della metà dell' Ottocento, ad anima liscia. Infatti una di queste, denominata appositamente "carabina" ed estrapolata (lussuosamente) dal Moschetto Truppe Speciali venne costruita dalla Beretta per l' imperatore d' Etiopia. Fra le varie modifiche una poteva essere presa in considerazione seriamente, in quanto realmente interessante, e fra l' altro datata 1901: il cap. Cei-Rigotti aveva modificato l' arma affinchè potesse sparare a ripetizione automatica, vale a dire a raffica, ma la cosa non sembrò destare interesse più di tanto nelle autorità competenti e il fucile sperimentale rimase allo stato di prototipo. Eppure lo si potrebbe ritenere l' antesignano dei moderni fucili semiautomatici. Una curiosità: sin dagli Anni Venti mi risulta si sia provveduto a dotare le varie sedi del T. A. S. N. (tiro a segno nazionale) di fucili mod. 91 ricalibrati per il tiro a segno sportivo ed addestrativo nel calibro 22. Il regolamento militare, fra le altre cose, esonerava dall' obbedienza alla cartolina di richiamo chi mostrasse, carte alla mano, di aver partecipato con la dovuta frequenza ad esercitazioni di tiro presso i poligoni suddetti. Da qui il successo dell' iniziativa. Un utilizzo particolare del fucile mod. 91 (e di altri similari) era il lancio di apposite bombe, dette "bombe da fucile": l' arma veniva caricata con una cartuccia priva di proiettile e dentro la canna veniva inserita l' asta (codolo) dell' ordigno. Quella specifica per il 91, durante la Grande Guerra, era nota come "bomba Benaglia" e la portata era sino a 130 metri; era munita di tre alettoni che consentivano una regolare traiettoria. Nonostante un fucile così attrezzato potesse fungere da piccolo mortaio, l' impiego di queste bombe era sporadico, forse per l' usura della canna che provocavano, e comunque più frequente durante la Grande Guerra che non nella Seconda. A parte le alette e il governale, la Benaglia somigliava molto ad una bomba a mano a frammentazione del tipo "ananas" o "sipe".