Il Mulo

07.01.2013 15:45

NASCITA DEI MULI NEL 1872

 

 

La “Storia del mulo con gli alpini” ha inizio nel 1872 anno di fondazione delle truppe alpine. Quadrupede domestico, infecondo, nato dall’incrocio dell’asino con una cavalla, resistentissimo, era usato come cavalcatura e come bestia da soma soprattutto in montagna. Gli Alpini amano ancor oggi ricordarli e definirli “soldati a quattro zampe” !

 

 

 

 

MARCHIO DEI MULI

Atto N° 132 del 1877

 

Ogni mulo aveva un nome la cui iniziale era legata all’anno di nascita e una matricola impressa a fuoco all’altezza di 15 mm sulla fascia esterna dello zoccolo sinistro anteriore a conveniente distanza dalla corona del piede.  

Il numero di matricola veniva rinnovato ogni qual volta che, per l’accrescimento dell’unghia o per l’asportazione di questa in seguito a ferrature, si fosse avvicinato al margine inferiore dello zoccolo.

 

 

 

 

 

RIFORMA DEI MULI

1991

 

Dopo tante eroiche imprese e dopo essere stato sfruttato fino all’inverosimile, visto l’alto aumento dei costi di mantenimento, nel 1991 si pensò bene che fosse giunto il momento di tagliare i costi delle truppe alpine. Così toccò la mala sorte ai muli. A inizio anni novanta, le cinque brigate alpine Julia, Taurinense, Cadore, Orobica e Tridentina avevano in tutto 700 muli. Per dare un’idea: nella seconda guerra mondiale ciascuna delle cinque divisioni alpine allora esistenti, ne aveva circa 3.500.

 

I muli riformati venivano marchiati con una croce impressa a fuoco sulla coscia sinistra.

 

 

 

       

 

 

LA PREGHIERA DEL MULO

Compare su L’ALPINO del 31 marzo 1948.

 

 

A te, mio buon conducente, rivolgo questa preghiera.

Dammi sempre da mangiare e da bere e quando il mio lavoro è finito provvedimi un riposo comodo; se non puoi darmi una lettiera asciutta e pulita in uno stallo largo e areato, fa almeno che possa riposare su un terreno pianeggiante, senza pantano, che sia al riparo dai venti durante le stagioni fredde che sia all’ombra durante l’estate. Quando rifiuto il cibo guardami in bocca, può darsi che qualche male alle gengive od alla lingua mi impedisca di mangiare, avverti sempre di questo i tuoi superiori.

Siccome io non posso dirti quando ho sete, fammi bere spesso acqua fresca e pulita, anche durante il lavoro; lasciami il tempo perché possa mangiare tutta la mia razione di fieno e di avena. Parlami, la tua voce è talora più efficace della frusta e delle redini, accarezzami sovente perché io possa imparare ad amarti ed a servirti meglio. Ogni giorno esamina i miei piedi, assicurati che i ferri siano ben attaccati, governami con dolcezza, non farmi male con le striglia, adopera di preferenza la spugna bagnata. Non tagliarmi la coda, privandomi così della mia miglior difesa contro le mosche ed i tafani che mi tormentano. Non fare strappate alle redini, e, nelle salite, non mi frustare! Non darmi calci, non battermi quando io non capisco quello che vuoi, ma fa che io possa intenderti. Se mi rifiuto, assicurati che il morso o il basto non siano fuori posto, e che non vi sia qualche cosa nei piedi che mi da dolore. Se mi adombro, non percuotermi, ma pensa che ciò può dipendere da qualche cosa che mi impedisce di veder bene, o da difetto alla mia vista. Non obbligarmi a portare un peso eccessivo alle mie forze, guarda che il carico sia ben equilibrato quando cado, abbi pazienza ed aiutami, e se inciampo, considera che ciò non dipese da colpa mia, considera il terreno accidentato che mi fai percorrere, non darmi frustate che mi rendono pauroso e nervoso. Se hai un poco di cuore non attaccarti alla mia coda durante le salite; pensa che io ho già un carico da portare e che se tu pure ti fai trascinare, accresci di molto la mia fatica, pensa quale dolore procuri tirando per tanto tempo la mia povera coda! Cerca di ripararmi dal sole. Nelle soste, quando fa freddo, o sono sudato, mettimi una coperta addosso; ricordati però di levarla quando lavoro. Vogliami bene, mio buon conducente; curami che in guerra ti sarò molto utile. Ti sarò l’amico prezioso.

 

 

Affresco della sede ANA di Gorle (Bergamo)

Dimensioni: altezza 1,50 m - lunghezza 3 m

 

 

 

       
       
 

LA PREGHIERA DEL MULO AL SUO CONDUCENTE

(Su gentile concessione del Gen. Roberto Scaranari)

 

 

 

 

Non ridere, o mio conducente, ed ascolta questa mia preghiera. Quando rientriamo in caserma dopo un servizio, non abbandonarmi subito, anche se ti senti stanco; pensa che anch’io ho lavorato e sono stanco più di te.

Se sono sudato, strofinami con un pò di paglia e mettimi presto al riparo; per te è poca fatica e mi risparmi dolori reumatici, tosse e coliche. In scuderia, specialmente di notte, lasciami legato lungo, perché io possa giacere e riposarmi. E’ vero che io posso dormire stando anche in piedi, ma, credilo, io dormo e riposo bene anche quando sono sdraiato. Ogni giorno puliscimi i piedi e lavami con una spugna ben bagnata. Ogni tanto, e specialmente durante le piogge, dammi un po’ di grasso ai piedi, così mi eviterai malattie allo zoccolo. Certo, io non sono un animale fine; ma guardati bene dal pulirmi gli occhi con la spugna con la quale hai pulito gli occhi ad un altro mulo, senza prima averla ben lavata; inoltre adopera due spugne, una per gli occhi e l’altra per le altre parti del corpo, così mi eviterai malattie. Un giorno ho sentito dire dal Capitano ad un conducente: “Un buon governo vale mezza razione”, e questo è vero. Io lavoro spesso nella polvere e nel fango, sudo, ho bisogno di essere ben governato; quando la mia pelle è pulita, io mi sento rinfrancato e mangio di buon appetito, e tu fai bella figura perché mi presenti ai tuoi superiori col mantello ben lucido.

 

 

 

Fammi bere spesso acqua fresca e pulita, anche durante il lavoro. Se vedi che io non riesco a vincermi e bevo troppo in fretta, distaccami dall’acqua; ma non farlo con brutti modi, perché mi faresti paura, e poi lasciami ancora bere quando voglio, senza avere fretta; l’acqua mi fa bene e non mi ubriaca.

  Nel mettermi le bardature io divento irrequieto e tiro qualche calcio in aria; considera che anch’io, come te, posso soffrire il solletico in qualche parte del corpo.

  Accarezzami spesso e parlami, così imparerò a conoscere la tua voce, ti vorrò bene, sarò sempre buono e lavorerò tranquillo. Se faccio qualche movimento brusco, pensa che forse avrò avuto paura, non strapparmi con le redini e non darmi calci, ma abbi pazienza e fammi qualche carezza. Vedrai che diventerò subito tranquillo.   Anche se tu sei stanco e sudato, o le mani sono intirizzite dal freddo, non risparmiarti la piccola fatica di accorciare la braca quando si va in discesa, e di allungarla quando si va in salita, e soprattutto non attaccarti alla mia coda, non tanto per la maggior fatica, quanto per i giorni di rigore che mi priverebbero della tua compagnia.

 

 

 

Nelle salite ho bisogno di essere libero nei movimenti, e perciò allungami la braca; e se la salita è forte, cerca di accorciare il pettorale in maniera che il carico non mi vada sulle reni. Facendo ciò, mi risparmierai fiaccature e cadute, ed io lavorerò tranquillo. Nelle salite io vado più svelto e tu non attaccarti al guinzaglio: mi stanchi, mi fai male alla bocca e puoi farmi perdere l’equilibrio e  cadere. In discesa io vado più piano e tu non tirarmi; vedrai che arriveremo lo stesso. Lasciami il guinzaglio e permetti che io veda dove metto i piedi. Stai però pronto a sostenermi con le redini nel caso che io inciampi. Basta il tuo aiuto per un secondo per evitarmi la caduta.

Se inciampo aiutami, e ricordati che io sto più attento che posso per non cadere; non aggiungere alla mia paura le tue strapponate e le tue parolacce che mi rendono nervoso e mi fanno venir voglia di scappare.

Se qualche volta io scappo ciò significa che io mi sono impaurito, adesso che ci sono per le strade tante macchine che fanno rumore e che al mio paese non ho mai visto. Io non le conosco ancora tutte e ti confesso che qualche volta mi impressionano assai. Quando capita una macchinaccia di queste, non mi tirare le redini, che mi impaurisco di più, ma accarezzami, specialmente sugli occhi, e parlami con voce buona; vedrai che rimarrò tranquillo e non cercherò di fuggire.

 

 

 

 Abbi pazienza e non trattarmi male, perché io non sono cattivo. Mettimi bene la bardatura e guarda che ogni cinghia sia della lunghezza giusta; in tal modo mi eviterai dolori e fiaccature.

Quando mi fai governo non mi passare la striglia sulle gambe e sulla testa; pensa che mi fai male e mi puoi produrre qualche ferita. Quando sei di guardia alla scuderia non ti dimenticare di passare la biada allo staccio; così leverai la polvere che c’è sempre in mezzo e mi eviterai riscaldi.

Cerca di capirmi e non sfogare mai il tuo nervosismo su di me. Sappi che le mie origini sono remotissime, che Omero accennava ai miei servigi nell’Iliade e nell’Odissea, e così Erodoto nella narrazione della spedizione di Ciro nel 583 a.C. in Babilonia; che i romani mi adibirono al traino dei carri e che quelli dei miei antenati, che avevano la fortuna di avere un mantello bianco candido, furono prescelti per essere attaccati alle bighe unitamente alle zebre. Papi e clero mi prescelsero per cavalcature di cerimonia.

 

 

Ed in guerra, sulle bianche giogaie delle Alpi o sull’aspra pietraia del Carso, attraverso disagi e privazioni, non fui forse il fedele amico del combattente al portavo il rancio caldo talvolta persino in trincea, ed i miei compagni non vennero forse feriti ed uccisi oppure ebbero la loro brava ricompensa, anche se questa fu loro concessa sotto forma di aumento permanente della razione?

Non dimenticare che so sopportare ogni privazione: freddo, fame, sete, tormenta, fatica, mostrando di avere la generosità del cavallo guerriero e dell’asino contadino, la pazienza.

 

Qualche volta, prossimo alla meta, una pallottola o una scheggia ha mandato i miei compagni a gambe all’aria con tutto il carico, giù in fondo al burrone.

Sii sempre buono e paziente e pensa che anche noi siamo di carne come te ed anche noi soffriamo.